I COMPORTAMENTI A RISCHIO DEGLI ADOLESCENTI: BASI NEURALI ED EVIDENZE COMPORTAMENTALI
by Super User
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Se l’adolescenza fosse una canzone, per alcuni, sarebbe come canta Vasco: “voglio una vita spericolata, voglio una vita come quelle dei film, voglio una vita esagerata, voglio una vita come Steve McQueen”.

Secondo Cesare Cremonini, nella sua Bologna, “Vespe truccate anni ’60 girano in centro sfiorando i novanta”. Gianni Morandi, ormai parecchi decenni fa, andava a cento all’ora per trovar la bimba sua. Tutti sintetizzano al meglio il profilo comportamentale tipico dell’adolescente: incremento dei comportamenti impulsivi, maggiore propensione al rischio, minore valutazione delle conseguenze. La categoria dei comportamenti a rischio comprende tutte quelle azioni, quegli atteggiamenti e quei comportamenti che possono compromettere il benessere fisico, psicologico e sociale di un individuo, nell’immediato o a lungo termine.

I genitori parlano di “poco sale in zucca”, non andando molto lontano da quella che, per anni, è stata la versione più accreditata per spiegare il perché di questi comportamenti. L’interpretazione classica adottata da psicologi e neuropsicologi, infatti, faceva riferimento al ritardo nella maturazione della corteccia prefrontale (PFC), coinvolta nei processi di controllo, rispetto alle modificazioni ormonali e alla maturazione delle strutture cerebrali sottocorticali, coinvolte, invece, nell’elaborazione affettiva. Secondo questa idea, quindi, nell’adolescente le strutture cerebrali deputate al monitoraggio e alla regolazione dei comportamenti si svilupperebbero dopo rispetto ad altre strutture, come per esempio l’amigdala, responsabili dell’elaborazione degli stati affettivi che, pertanto, non avrebbero nessun argine alla loro espressione. Gli adolescenti, per anni, sono stati visti come fisiologicamente e strutturalmente incapaci di controllo sui propri comportamenti e sulle proprie emozioni, secondo il modello “dell’immaturità delle aree frontali”, basato sull’idea di un loro progressivo sviluppo.

Evidenze recenti dagli studi di neuroimmagine, però, non confermano in modo stabile la presenza di un incremento lineare nella funzionalità di queste aree nel corso dell’adolescenza, anzi. In un esperimento, adulti ed adolescenti furono sottoposti a un compito in cui avrebbero dovuto riconoscere delle emozioni (es. felicità, rabbia, imbarazzo, colpa). I risultati osservati dimostrarono che l’attivazione della corteccia prefrontale era maggiore negli adolescenti rispetto agli adulti e decresceva con l’età, in contrasto proprio con quel modello, ritenuto valido per anni, secondo il quale gli adolescenti agivano come agivano perché la loro corteccia prefrontale non si era ancora sviluppata del tutto.

Quale potrebbe essere, allora, la spiegazione? Al centro dei cambiamenti nella cognizione sociale che caratterizzano l’adolescenza ci sarebbe lo sviluppo del “Cervello Sociale”, un network di aree cerebrali coinvolte nel riconoscimento degli altri, nella valutazione dei loro stati mentali, sentimenti e credenze, e nella capacità di utilizzare tali valutazioni per comprenderne il comportamento. Questo circuito include la corteccia prefrontale, il solco temporale superiore posteriore e l’amigdala. 

Inoltre, si è scoperto che il grado in cui i processi di controllo mediati dalla PFC sono attivati dipende in modo flessibile dalla salienza emotiva e motivazionale del contesto. In uno studio empirico, ai partecipanti fu chiesto di giocare a un videogame durante il quale avrebbero avuto l’opportunità di prendere dei rischi di guida, come passare col semaforo arancione. I soggetti erano assegnati in modo casuale a una di due condizioni: giocare da soli oppure giocare mentre due amici stavano a guardare e davano consigli. Adolescenti (13-16 anni), giovani (18-22 anni) e adulti (dai 24 anni) dimostrarono di prendere lo stesso numero di rischi quando giocavano da soli. In presenza dei pari, invece, i giovani ma soprattutto gli adolescenti rischiavano molto di più rispetto agli adulti. Le abilità di controllo cognitivo non sarebbero, di fatto, dissimili nell’adolescente e nell’adulto, ma solo influenzate in misura diversa dalla presenza dei pari, fattore che aumenterebbe la rilevanza affettiva e motivazione del contesto e indurrebbe il giocatore adolescente a commettere un maggior numero di rischi.

Centro Clinico Mandorlo Bianco