AGORAFOBIA
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Dott.ssa Paola Frasson 

“Purtroppo l'agorafobia mi perseguita da 8 anni e mi limita in tutto ciò che vorrei fare. Ad esempio, per me è impossibile prendere la nave, a bordo mi sentirei come un leonessa in gabbia. Peggio ancora sarebbe salire su di un aereo, costretta a stare ferma per ore senza la possibilità di scendere e riprendere un po’ di fiato. Ma questo disturbo non mi porta ad evitare soltanto i trasporti pubblici come la nave e l’aereo. Anche fare una gita fuori porta in auto, lontano dai miei ambienti conosciuti e familiari, mi crea un’intensa paura e cerco quindi di evitare anche queste situazioni. Mi sento chiusa in gabbia da me stessa e in questi 8 anni la gabbia si è fatta sempre più piccola e limitante”. Giulia, 39 anni 

Nel post precedente abbiamo parlato del disturbo di panico. Oggi ci occupiamo di agorafobia.  Quando si parla di agorafobia tutti pensano alla paura dei luoghi aperti…ma ciò non rende del tutto giustizia a questo disturbo. 

Le persone che soffrono di agorafobia infatti presentano un’intesa paura o apprensione per i problemi, reali o attesi, che potrebbero verificarsi in un’ampia gamma di luoghi al di fuori delle loro abitazioni. Si tratta di tre generi di situazioni: quelle caratterizzate da solitudine (intesa come lontananza da luoghi o persone familiari), da costrizione fisica (spazi chiusi quali ascensori, teatri, cinema, chiese, metropolitana, treno, aereo, nave) e, infine, da spazi vasti e aperti, come piazze o ponti. 

Le persone affette da agorafobia adottano in genere come strategia comportamentale l’evitamento di tutte le situazioni che scatenano le loro paure e spesso modificano le loro abitudini per evitare di trovarsi nelle situazioni temute.  Questa strategia comportamentale, tesa a ridurre gli effetti così sgradevoli della paura, è in realtà una trappola micidiale, poiché conduce gradualmente le persone a incrementare gli evitamenti stessi, con una notevole compromissione della qualità di vita. Questo effetto di generalizzazione si verifica perché ogni evitamento suona nella mente della persona affetta da agorafobia come una conferma della pericolosità della situazione temuta e della propria incapacità di fronteggiarla, incrementando la sfiducia del soggetto nelle proprie risorse. Un’altra controproducente strategia in genere adottata è la costante richiesta di aiuto, ossia la tendenza ad essere sempre accompagnati e sostenuti da una persona di riferimento, pronta ad intervenire in caso di bisogno. Anche questa strategia tende a generalizzarsi e conduce all’aggravamento della paura e dei suoi effetti limitanti, poiché proprio il fatto di avere bisogno di qualcuno accanto conferma al soggetto la propria incapacità a gestire le emozioni e le possibili reazioni. Si arriva così a dover dipendere dalle altre persone per soddisfare i propri bisogni fondamentali, come fare la spesa. 

Le donne hanno una probabilità due volte maggiore rispetto agli uomini di sviluppare il disturbo agorafobico. Nella maggior parte dei casi l’agorafobia insorge prima dei 35 aa di età e il rischio di sviluppare i primi sintomi è più alto nella tarda adolescenza e nella prima età adulta; il disturbo raramente insorge nell’infanzia. 

Secondo il DSM 5* per fare diagnosi di agorafobia devono essere soddisfatti i seguenti criteri: 

- Paura e ansia marcate relative ad almeno due delle seguenti situazioni: 

o Utilizzo dei trasporti pubblici (automobili, autobus, navi, treni, aerei)

o Trovarsi in spazi aperti (parcheggi, mercati, ponti)

o Trovarsi in spazi chiusi (negozi, teatri, cinema)

o Stare in fila oppure tra la folla

o Essere fuori casa da soli 

- L’individuo teme o evita queste situazioni a causa di pensieri legati al fatto che potrebbe essere difficile fuggire oppure che potrebbe non essere disponibile un soccorso nell’eventualità che si sviluppino sintomi imbarazzanti (vomito, incontinenza) o sintomi simili al panico (sudorazione, tremori).

- Le situazioni agorafobiche richiedono la presenza di un accompagnatore o vengono sopportate con paura o ansia intense.

- La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo presente nella situazione agorafobica. 

La paura, l’ansia o l’evitamento devono essere persistenti, di solito per almeno 6 mesi, prima di poter fare una diagnosi. La paura, l’ansia o l’evitamento causano significativo disagio o compromettono il funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. Se è presente un’altra condizione medica, la paura, l’ansia o l’evitamento sono eccessivi rispetto alle normali preoccupazioni che derivano dalla condizione stessa. I sintomi non possono essere causati da un altro disturbo mentale, come un altro disturbo d’ansia o il disturbo ossessivo-compulsivo. 

L’agorafobia, come il disturbo di panico, rappresenta una condizione molto diffusa e ben nota a ricercatori e clinici. Nel trattamento dell’agorafobia, la psicoterapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato ampiamente e scientificamente la propria efficacia. 

La ricerca scientifica in questo ambito indica inequivocabilmente che è possibile guarire da questo disturbo, sgombrando così il campo dalla disperazione dell’impossibilità di cura e aprendo a tutte le persone affette da agorafobia la possibilità di superare i limiti entro i quali la paura li blocca. 

*Il termine DSM è l’acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders. E’ uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo

Dott.ssa Paola Frasson